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La nostra storia

CAI ALPAGO: UN VENTENNIO (E PIU’) DEDICATO ALLA MONTAGNA

I pionieri

La storia della Sottosezione Cai Alpago non parte dal 1988, ma da molto prima…

Vi è infatti un lungo periodo romantico e pionieristico, non per questo meno importante, che precede la nascita ufficiale della “costola Cai” nella Conca, ponendosi a cavallo tra gli anni ’70 e la prima metà degli ’80.

A voler guardare però con più precisione storica, a voler spulciare più a fondo nel passato, si può affermare che il primo incontro ravvicinato tra il Club Alpino Italiano e i montanari – alpinisti alpagoti avviene tra il 1972 e il 1973. E’ questo infatti il periodo in cui arrivano in Alpago due tessere Cai… tessere che rispondono ad altrettanti nomi destinati a divenire presto fondamentali per la futura Sottesezione: Piero Fain e Isidoro Bona.

Il primo, ai più conosciuto come il “dottor Fain”, la tessera la “importa”, trasferendosi nella Conca ma essendo già da tempo iscritto alla sezione di Pieve di Livinallongo.

Il secondo, che abita invece a Tambre fin dalla nascita, nel 1973 si iscrive alla sezione di Belluno, e ancor oggi mostra con sobrio orgoglio quel numero, nemmeno troppo sbiadito: 250950. Cifre che campeggiano, circondate da un reggimento di bollini, sulla preziosa archeo – tessera di Isidoro: “A dir il vero mi pare che prima di me ci fosse anche qualcun altro, qui a Tambre, che era iscritto- ricorda il vecchio patriarca – ma erano persone che venivano da Vittorio Veneto e non risiedevano stabilmente qui”. Osservazione personale ma limitata all’ambito tambrese. A onor del vero va infatti registrata, in comune di Chies, la presenza del tesserato Cai Giuseppe De March, di Alpaos, che addirittura nel 1963, all’indomani del Vajont, entra nella famiglia del Club Alpino Italiano aderendo alla sezione di Pordenone, per passare poi negli anni successivi alla più comoda sezione di Vittorio Veneto.

Il primo contatto attivo con le sfere istituzionali del Club lo attiva comunque la stessa famiglia Bona: padre prima e figli subito dopo. Nello stesso decennio, questi pionieri hanno il merito di organizzare la nascita della Stazione di Tambre per l’Alpago del Soccorso Alpino, e di far fiorire la pratica alpinistica nella Conca col gruppo scanzonato e arrembante dei “Tor di Tambre”.

Isidoro funge da ponte di collegamento burocratico con la sezione, raccogliendo le iscrizioni di tutti quegli appassionati che, sentendo il richiamo della montagna, stanno cercando una strada preferenziale per poterla scoprire e praticare. Nel 1977, su consiglio della stessa sezione di Belluno, egli sposta la sua iscrizione alla più vicina sezione di Longarone, anche se la nuova sede (con cui si apre così un rapporto destinato a diventare fondamentale) non si rivelerà, di lì a poco, molto più comoda da raggiungere. Sono infatti ancora gli anni in cui il viaggiare in auto è un piccolo lusso, e lo spostarsi dall’alto Alpago alle altre vallate della provincia non è operazione semplice e rapida: “Facevo spesso avanti e indietro da Longarone con le tessere d’iscrizione e altre carte – ricorda Isidoro – poi, quando noi raggiungemmo la quota di circa 60 soci, mi dissero che era il caso che diventassi consigliere della sezione. E allora… allora altro scoglionamento, perché dovevo andare su da solo, di sera, con la vecchia 500 prima e la 128 poi”.

Viva la sincerità; e viva lo spirito entusiastico che accompagna la nascita di ogni progetto, grazie a cui il neonato gruppo di soci Cai dell’Alpago muove in questo periodo i primi grandi passi.

L’Alta via numero 7

Il primo, fondamentale lavoro era infatti già stato realizzato a metà del decennio, quando lo stesso Isidoro trova in Piero Fain ed Enzo Mazzoran due stretti, attivissimi collaboratori per concretizzare un’idea entusiasmante: allungare l’Alta via numero 6 con un percorso autonomo e affascinante, concentrato lungo le severe creste della Conca alpagota e oltre, a digradare verso il Cansiglio e la piana trevigiana. Il gruppo scopre presto un importante appoggio nella figura di Toni Sanmarchi: “Toni era appassionato della nostra zone – spiega Isidoro – e quando progettammo l’idea ne fu entusiasta. Nacque così l’Alta via numero 7 e lavorammo a lungo per segnarla tutta: Ettore Bona e Oreste Bortoluzzi, inizialmente con l’aiuto di Soro Dorotei, attrezzarono con corde fisse alcuni passi più esposti e pericolosi…” completando così un tracciato, viene da aggiungere, che tutt’oggi rappresenta una severa e coinvolgente sfida per gli escursionisti che vogliano confrontarsi con un’Alta via. Opera prima ma già opera somma, dunque, quella portata a termine da Fain, da Sanmarchi, da Enzo Mazzoran, dai fratelli Isidoro e Fioravante Bona con i figli Ettore, Alvio, Rissieri, Siro e Loris, e da tutti coloro che, segnando la traccia lungo creste e canalini, portano alla luce un itinerario “sulle orme del Pàtera”, come scriveranno gli stessi Fain-Sanmarchi nel libro, uscito nel ’76, sulla neonata Alta via 7, in cui i ringraziamenti chiamano in causa molti altri volontari ancora: “Gli autori ringraziano i non più giovani e i giovanissimi colleghi di Tambre […], Ferruccio Ferronato, Rinaldo Oriano, Luigi Negrizzolo […] e i colleghi alpinisti di Vittorio Veneto alla cui iniziativa va ascritta la messa in opera delle corde fisse […]. Citiamo per tutti Rino Costacurta…”.

Si può, in definitiva, affermare che fu, questa, la prima impronta potente lasciata dal Cai alpagoto a testimoniare un impegno vivo, attivo, capace di incidere da subito in modo visibile e concreto sul territorio locale. Va aggiunto inoltre che, durante la tracciatura dell’Alta via, nacque progressivamente l’idea di una Stazione di Soccorso Alpino per l’Alpago: stazione che, anche su suggerimento e interessamento del famoso dottor Mario Brovelli, venne ufficialmente istituita nel 1976 (con iscrizione alla sezione Cai di Longarone).

Alla fine degli anni ’70 sboccia un’altra iniziativa che, in breve, diventa pietra miliare in grado di trapassare un trentennio: il gemellaggio tra gli Alpini alpagoti e quelli di Aviano si completa nel gemellaggio tra i gruppi Cai delle rispettive zone, e ad oggi non è mai venuto meno il rapporto di sincera amicizia che lega i vicini di casa, divisi dalle creste ma uniti dalla medesima passione e dalla frequentazione delle stesse montagne.

Vi è infine l’inizio della “sentieristica”: il recupero, la sistemazione o la realizzazione di nuovi sentieri parte dalla zona del Guslon-Cavallo. Basta ricordare, a tal proposito, il lavoro fatto in questi primi anni per segnare il sentiero che conduce alla Madonnina delle Penne Nere.

Contemporaneamente sorgono anche le prime esperienze di gite escursionistiche. Attività, numero di iscritti presenti nella zona, fervore di iniziative: poco dopo la metà degli anni ’80 i tempi paiono insomma ormai maturi per il salto di qualità, la struttura ossea del Cai in Alpago appare solida al punto di poter assumere una propria, ben definita identità.

Nasce la Sottosezione

Nuove forze giovani entrano nel gruppo che coordina le iniziative, nuovi entusiasmi permettono finalmente, nel 1988, la nascita della Sottosezione Cai Alpago: Efren Fullin, Federico Pedol, Moreno Barattin o Pierangelo Pedol sono solo alcuni dei nomi di quei volontari che in questa fase dedicano tempo ed energie per consentire, a livello burocratico e organizzativo, la nascita della Sottosezione, che trova in Benito Saviane il suo primo Reggente, e idealmente la figura più adatta per ereditare il passaggio di testimone di tutto il lavoro portato avanti da Isidoro. “Benitone” vanta infatti un altrettanto lungo sposalizio con il Cai: si è iscritto nel ’74 alla Sezione di Vigo – Laggio, e anch’egli qualche anno dopo, nel ’78, ha compiuto il trasferimento alla più vicina famiglia longaronese. E’ reduce dalle grandi imprese dolomitiche con Franco Miotto sugli allucinanti strapiombi del Burèl, delle Pale di San Lucano e del Col Nudo, ed è soprattutto animato da un acceso, tenace spirito di volontariato verso tutto ciò che può essere realizzato attorno al mondo delle montagne di casa sua.

Traghettatore ideale nel passaggio di decennio, Benito resta per molti, anche oggi, il simbolo attivo e ancora “reattivo” del Cai in Alpago e della sua storia: con la sua figura taciturna e rassicurante, la grande quercia di Codenzano prosegue il lavoro avviato nella prima fase e lo indirizza, potenziandolo, verso gli anni ’90, durante i quali la giovane Sottosezione dimostra un’efficace autonomia di azione e una buona capacità organizzativa.

Sotto le reggenze di Loris Levis (1991 – 1994) ed Ermes Nenzi (1994 – 2000) si avvia con metodo e rigore l’accatastamento dei sentieri in collaborazione con la Comunità Montana, partendo dal Dolada e seguendo lo sviluppo della catena montuosa alpagota verso il Cansiglio. Un’opera, questa, che impegna tutt’oggi i volontari e il loro tempo libero, sacrificato per tracciare le lunghezze, i dislivelli, le planimetrie di quasi 100 chilometri di sentieri segnati, di cui va costantemente fatta la manutenzione.

L’enorme lavoro speso per l’area della sentieristica non impedisce però di elaborare allo stesso tempo un nuovo e autonomo programma di escursionismo, che fa registrare una buona partecipazione di appassionati e inizialmente prevede, tra le varie gite annuali, almeno una da effettuare in ambiente dolomitico. Un occhio alle cime di casa, ma l’altro aperto su tutti i possibili gruppi montuosi limitrofi, insomma, in una prospettiva di progressiva apertura a nuovi contatti e nuove esperienze. Ecco dunque, sempre a partire dagli anni ’90, la partecipazione a corsi nazionali di qualifica per la formazione di figure specializzate, che consentono oggi di annoverare Accompagnatori Nazionali di Escursionismo (Benito e Rudy D’Alpaos) e, orgoglio “rosa”, una Accompagnatrice di Alpinismo Giovanile quale è Serena D’Alpaos.

Dal punto di vista strettamente locale, a metà del decennio si avvia invece un’altra piccola grande opera: la realizzazione di un bivacco naturale vicino al Passo Valbona, tra il Teverone e il Col Nudo, come punto d’appoggio per gli escursionisti che vogliono affrontare integralmente l’Alta via numero 7. “Volevamo creare un ricovero in più oltre al Bivacco Toffolon – spiega Benito – visto l’impegno richiesto dall’Alta via e visto che non c’è la possibilità, lungo il percorso, di recuperare dell’acqua. E’ stato un lavoro immane!”. E se lo afferma Benito, insieme a Rudy e a Giusto Pedol tra gli ideatori del progetto, vale la pena credergli, visto che la realizzazione della grotta naturale all’ombra della Nord del Teverone coinvolse per lunghi mesi almeno una quindicina di coraggiosi e ostinati volontari, capaci di trasportare a spalle, salendo lungo il Venal di Montanes, tutti i materiali necessari per la costruzione del bivacco.

Idee nuove e nuove importanti opere, come quest’ultima, si affiancano a tradizioni consolidate: il gemellaggio con il Cai di Aviano prosegue all’insegna, tutti gli anni, di una gita escursionistica comune e di un’autunnale castagnata che, alternativamente, viene organizzata dall’uno e dall’altro gruppo.

Infine, nel 1996, viene inaugurata la nuova sede della Sottosezione, a San Martino, nelle ex Scuole Elementari, tuttora punto di ritrovo per soci vecchi e nuovi.

Tra passato e futuro

Il 2000, alle porte del nuovo millennio, vede il cambio di reggenza tra Ermes Nenzi e Rudy D’Alpaos, e nello stesso periodo un’ulteriore importante novità: il nuovo incarico raccolto dalla Sottosezione nel gestire il controllo e la manutenzione della Ferrata Costacurta, sulla Nord del Teverone, attraverso il lavoro delle Guide alpine della Conca (attualmente Ettore Bona, Oreste Bortoluzzi e Pierangelo Pedol).

Un’ulteriore “azione” sul territorio, dunque, che appartiene all’insieme di nuove attività della storia più recente, anzi contemporanea, costruita passo dopo passo sotto la reggenza di Rudy e sotto quella attuale di Rosario Fagherazzi. Se c’è infatti stato, negli ultimi anni, un sensibile salto di qualità, esso è rappresentato dalla progressiva capacità della Sottosezione di entrare sempre più in stretto contatto con altre realtà locali, in una collaborazione efficace con iniziative e gruppi di volontariato ugualmente attenti alle problematiche del territorio alpagoto e allo sviluppo della sua montagna.

Alla collaborazione con la Sezione di Mestre e con quella Giovanile di Alpinismo del Cai di Belluno, si sono via via aggiunte diverse iniziative con le scuole della Conca, i progetti portati avanti col Museo di Storia Naturale d Chies, la partecipazione a manifestazioni come “Chies e le sue montagne” o ad eventi sportivi quali la Transcavallo, la Messerissima, la Direttissima Bivacco Toffolon, la Sky Race Monte Cavallo, l’organizzazione autonoma di serate di diapositive e cicli culturali come “Tramonti in Alpago”.

Si è insomma arricchito il carniere di attività e idee, dimostrando come la Sottosezione resti soprattutto aperta alle novità, e sia capace di agire guardando al passato, alle tradizioni, ma senza dimenticare gli stimoli offerti dal presente e le prospettive future. La storia ufficiale segna un ventennio di presenza Cai in Alpago; quella vera che qui si è tentato di raccontare, narra invece di un’azione lunga oltre trent’anni, che ha operato sul territorio, sulla montagna, mossa da una grande passione e da un altrettanto infaticabile spirito di sacrificio. I volontari del Cai in Alpago restano dunque, prima ancora che semplici frequentatori di sentieri e cime, una speciale razza di “operatori sociali e (si spera) turistici”, che nel mantenere viva, pulsante la nostra montagna rendono, stagione dopo stagione, un servizio silenzioso ma preziosissimo a tutta la comunità.

(m.d.m.)

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